Beethoven e l’apoteosi della tonica
La nona sinfonia di Beethoven è una delle più celebri partiture della storia della musica occidentale; è rivoluzionaria soprattutto nell’aspetto formale e nell’insolito inserimento del coro nel finale. Vorrei però soffermarmi su un aspetto che mi ha sempre incuriosito e che riguarda il modo in cui il compositore conclude questa sinfonia. Dopo centinaia di ascolti le ultime 13 battute di questo capolavoro mi stupiscono ancora e mi fanno pensare a quanto sia veramente insolito questo finale.
Quando al Conservatorio studiavo composizione e orchestrazione, c’era una grande attenzione nell’evitare procedure compositive che non rispettassero certi canoni di eleganza e di estetica musicale, derivati da centinaia d’anni di tradizione nell’uso dell’armonia, dello sviluppo melodico, dell’orchestrazione e di molto altri parametri tramandati dai grandi maestri del passato.
Le “regole” estetiche e formali sono molte e condizionano tutt’oggi gli studenti di composizione.
Tra queste, una tra le più evidenti, è l’utilizzo ridotto della ripetizione, ovviamente tralasciando l’esperienza del minimalismo del ventesimo secolo.
A volte immagino se avessi portato al mio insegnante di allora, come esercizio di composizione/orchestrazione, le ultime battute di questa sinfonia. Credo che alla vista di tale ardire, il maestro avrebbe accartocciato il foglio pentagrammato e lo avrebbe gettato dalla finestra, cosa che peraltro a volte faceva con alcuni allievi.
Ma cosa non va, secondo le regole classiche di composizione, in queste battute finali?
È la ripetizione, appunto. Beethoven ripete per ben 16 volte lo stesso inciso con medesimo accordo e la stessa struttura ritmica! Procedimento inaccettabile per qualsiasi docente di composizione di Conservatorio!
Credo che l’autore abbia voluto concludere la Sinfonia e, appunto, l’inno alla Gioia, con una specie di parossismo musicale, amplificando a dismisura il senso della tonica e della tonalità, divenuta maggiore rispetto impianto minore iniziale e sconfiggendo così tutto ciò che non fosse Gioia.
È una conferma del tutto e l’annullamento di qualsiasi dubbio.
L’effetto, all’ascolto, è affascinante e strano allo stesso tempo. Sembra quasi che l’orchestra vada in loop, come se la puntina del vinile saltasse e tornasse indietro a ripetere con ossessione lo stesso inciso. La certezza di Beethoven, alla fine della vita, qui è chiarissima e invidiabile.