Parlare di Composizione, oggi
Parlare di composizione musicale, nel ventunesimo secolo, è compito decisamente complesso perché le variabili in causa sono numerose e i condizionamenti derivati dalla nostra tradizione musicale occidentale interferiscono direttamente in qualsiasi progetto analitico, filologico o didattico. La musica, forse più di qualsiasi forma d’arte umana, risente direttamente di tale bagaglio culturale, formato da secoli di continua ricerca verso una espressione artistica sempre mutevole, migliorabile e proiettata continuamente verso il futuro. Il pensiero musicale ha compiuto un viaggio continuo che, partendo dalle prime forme rudimentali di organizzazione del suono, è arrivato a cattedrali sonore nelle quali la simbiosi tra la perfezione della forma e la ricerca estetica del “ bello musicale ” dei contenuti, ha prodotto una serie immensa di opere d’arte musicale. Analizzando questo processo creativo, si nota però come il viaggio sia iniziato, si è evoluto e, in un certo senso sia terminato, nell’arco di un solo millennio; un arco temporale decisamente ridotto.
Il probabile termine del viaggio è giunto quando si sono esaurite le possibilità espressive date dall’organizzazione formale della musica e dalla ricerca della continua variazione e rinnovamento dei contenuti.
Il compositore di oggi, si trova davanti una strada sbarrata, mentre dietro di sé c’è un intreccio infinito di vie già percorse da altri artisti.
Chi scrive musica oggi ha davanti a sé una via satura di espressioni artistiche già manifestate e trovare una forma di espressione personale veramente sincera ed incondizionata diventa una chimera che appare sempre più irraggiungibile.
Tutto ciò non deve apparire, però, come una sorta di blocco inevitabile dell’arte. Ognuno di noi deve avere sempre la possibilità di poter esprimere ciò che sente e vuole comunicare agli altri; l’arte stessa è un alta forma di comunicazione.
La fine del viaggio, di cui ho parlato, si deve intendere come provocazione e non come fermata obbligata con conseguente elogio forzato verso tutto ciò che viene dal nostro passato musicale. Sarà la storia stessa a stabilire, a posteriori, quali esperienze di comunicazione musicale resteranno vive per i nostri posteri. Questo processo dipende non solo dall’analisi specialistica delle “ nuove ” composizioni ma anche dal loro impatto con il grande pubblico. Questa spaccatura è evidente in molte musiche contemporanee nel quale ad una impressionante tecnica organizzativa e sapienza musicale si contrappone una totale incomprensione da parte di chi ascolta. L’arte, in questo caso, cessa di essere una alta forma di comunicazione tra compositore ed ascoltatore. La comunicazione artistica avviene, in questo caso, solamente tra l’autore e la sua stessa opera d’arte. Molti artisti del novecento si sono isolati in questa auto-celebrazione, producendo opere che hanno avuto un valore storico-musicale ma scarsa trasmissione emozionale tra chi produce arte e chi la utilizza come arricchimento personale.
La nuova arte musicale deve recuperare la comunicazione e la trasmissione di emozioni. Ciò non vuol dire recuperare ciò che la musica possiede intrinsecamente come elemento comunicativo (ad esempio la tonalità) ma cercare di trovare anche nuove forme espressive e contenuti che, anche allontanandosi dalle “ aspettative sonore ” di chi ascolta, possano produrre comunicazione e trasmissione emozionale.
Ovviamente quanto detto è facile a ipotizzarsi su base puramente teorica ma nella pratica quotidiana il discorso si complica.
Ho parlato di potere comunicativo intrinseco della Musica; sicuramente esiste e condiziona l’approccio dell’uomo all’evento musicale organizzato. Esistono però delle convenzioni culturali e delle “ regole ” strutturali che guidano ogni nostra esperienza musicale, sia essa riferita all’ascolto, all’esecuzione o alla composizione.
Se analizziamo la musica occidentale non si può non rendersi conto di come essa sia vincolata da una struttura di norme interne, creata dall’uomo stesso e sviluppate in tutte le possibili forme espressive nei secoli passati, che ne condiziona l’esecuzione ma anche le possibili aspettative sonore di chi la ascolta. Ecco la Tonalità, croce e delizia di chi tenta di scrivere musica che abbia valore artistico.
Nel percorso storico della composizione, la tonalità è diventata una struttura obbligata nella costruzione musicale occidentale. Partendo dalle prime forme di organizzazione sonora e accentrandosi così su determinati fulcri di generazione ed attrazione sonora (il concetto di tonica, sottodominante e dominante) l’evento musicale è stato organizzato dall’uomo seguendo procedimenti strutturali che sono diventati uno standard irrinunciabile. La tonalità diventa pertanto struttura profonda del linguaggio musicale occidentale. Molte volte viene giustificata da corrispondenze di fisica acustica. Infatti i suoni armonici, presenti nei vari suoni strumentali, si sviluppano essenzialmente seguendo una sovrapposizione triadica.
Teoricamente questo concetto è conciliabile con le nostre capacità uditive ma in realtà la sovrapposizione armonica all’interno di ogni singola nota eseguita da uno strumento musicale, prosegue toccando suoni armonici che si allontanano gradualmente da qualsiasi riferimento tonale. Certo il nostro orecchio difficilmente può percepire queste raffinatezze acustiche, intrinseche in ogni evento musicale.
Una esperienza da fare è quella di ascoltare determinati amalgami timbrici dei grandi organi meccanici. L’organo è, infatti, lo strumento per eccellenza nel quale vengono utilizzati i suoni armonici per creare diverse combinazioni timbriche.
Al suono di base si possono sovrapporre suoni in ottava, quinta e terza. Se si pensa, in ottica tonale, alle sovrapposizioni di ottava e di quinta non ci sono grandi problemi di giustificazione dato che l’ottava è un semplice raddoppio del suono di base e la quinta è un suono che, se svestita dalla sua valenza di dominante, ha una resa abbastanza neutra che si adatta senza problemi a qualsiasi combinazione sonora.
L’elemento più interessante è senza dubbio la sovrapposizione di terza maggiore. In questo caso la sua valenza tonale intrinseca è sfacciatamente evidente e non attenuabile. Con l’uso di questo registro organistico, abbiamo la presenza continua di un intervallo di terza maggiore in qualsiasi nota eseguiamo. Anche suonando un malinconico brano in tonalità minore la nostra melodia avrà sempre sovrapposto un intervallo di terza maggiore, evidente riferimento al tono maggiore! Ovviamente la mutazione in causa e molto acuta rispetto al suono di base e viene percepita dall’esecutore/ascoltatore solamente come arricchimento timbrico. Il suono diviene spesso nasale ma allo stesso tempo delicato e adatto a lente sottolineature melodiche che paradossalmente sono più presenti in brani in tonalità minore.
Il nostro orecchio non percepisce, in questo caso, cluster sonori o sensazioni di politonalità maggiore/minore ma solamente un arricchimento timbrico.
Questo è solo un piccolo esempio di come la giustificazione della tonalità, seguendo le caratteristiche fisiche del suono, possa essere messa in discussione. Secondo le nostre capacità uditive un tale approccio dovrebbe giustificare la presenza delle sole tonalità maggiori dato che riusciamo a sentire l’armonico di terza maggiore come mattone costitutivo del timbro. L’armonico di terza minore, caratteristico della tonalità minore, è molto più acuto nella suddivisione fisico-armonica dell’evento musicale e praticamente non percepibile consciamente dal nostro cervello.
La nostra tradizione musicale tonale ha creato invece anche l’accordo minore, indispensabile nella ricerca delle possibilità espressive e strettamente correlato in un rapporto dialettico e di interrelazione con la tonalità maggiore.
Si può quindi affermare che la tonalità, cosi come la intendiamo, non è presente nella struttura intrinseca del suono o perlomeno non nella sua sola forma esplicativa.
Preferisco parlare di totalità all’interno dell’evento fisico musicale nel quale è presente anche l’impianto tonale inteso pero come possibilità combinatoria ma non costitutiva. All’interno del suono fisico ci sono tutti i suoni e le combinazioni possibili date dalla nostra convenzione strutturale cromatica e c’è anche tutto l’altro universo sonoro che il nostro apparato uditivo non è in grado di percepire. La tonalità è quindi una convenzione occidentale che continuando a perpetuarsi nei secoli si è continuamente auto-alimentata forgiando e condizionando le abitudini sonore del uomo.
La tonalità diventa, quindi, possibilità ma non necessità.
(p) Mauro Giavarina
testo depositato presso Università di Venezia.